30 d'agosto.
Viaggiamo sul Carmel, vapore postale francese che viene dai porti della Siria, e ci pigliò a Messina, un centinaio, quasi tutti feriti o malati che se ne vanno a casa un po' di giorni. C'è il Medici di Bergamo, furioso per nostalgia, che vorrebbe uccidere il Comandante, perché gli pare che il vapore non voli come bramerebbe lui. Sul castello di poppa vi sono delle signore che ci fanno un'aria di primavera soave. Bellissime due giovinette catanesi che paiono fatte di sogni.
Tutta gente felice, tranne quella bella donna francese, alta grigia, che forse avrà quarant'anni. Dice un capitano di fanteria francese ch'essa fu nella Siria, donde torna anche lui, e che vi fu a cercar il sepolcro di un suo figliuolo, sottotenente, che vi morì. Il capitano parla dei cristiani del Libano e delle armi di Francia laggiù: par sin che gli dolga della nostra guerra, perché non lascia badare alle cose di quella parte così bella e così poetica della terra. Ma quei di Calabria e di tutto il Regno non sono cristiani che gemono peggio che sotto i Turchi?
Nel porto di Napoli, 31 d'agosto.
Il cielo, il golfo, l'isola, il Vesuvio che esulta nell'azzurro ardente, e tutta la campagna che si ammanta di colori fini, sempre più fini, via via sin laggiù dove sfuma nell'aria; nulla, sa nulla di quel che avviene? Ma! l'immensa città che sgomenta a vederla, bolle di passione che si indovina. Quella è la Reggia. Dunque da quei balconi, mostrando loro i galeotti nel bagno, Ferdinando secondo diceva ai figli suoi che quelle catene erano l'alfabeto dei giovani prìncipi?
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