20 d'ottobre.
Pettorano, Carpinone, Isernia, meritereste che su voi non venisse più né pioggia né rugiada, fin che durerà la memoria dei nostri, ingannati e messi in caccia e uccisi pel vostri campi e pei vostri boschi!
Tornano gli avanzi della colonna di Nullo; non si regge ai loro racconti; non sanno dire che morti, morti, morti! Par loro d'avere ancora intorno l'orgia di villani, di soldati, di frati che uccidevano al grido di Viva Francesco secondo e Viva Maria.
Povero Bettoni! La sua Soresina non lo vedrà più. Se ne veniva indietro ferito su d'una carrozza; cavalcavano a' suoi lati Lavagnolo e Moro, pensando di poterlo porre in salvo a Boiano, e tornar poi a spron battuto dove Nullo combatteva, e i nostri morivano qua, là, a gruppi, da soli, sbigottiti dalle grida selvaggie. Poveri cavalieri! Il giorno appresso il tenente Candiani li trovò morti sulla via. Ah! quel Sannio, quel Sannio! Mi sento passar sul viso un soffio gelato come quel giorno che la spedizione partì: sin d'allora mi suonò nella memoria il nome delle Forche Caudine.
25 d'ottobre.
Sopra queste contrade deve essere passato non so che spirito. Gli abitanti ingrandiscono o impiccoliscono le cose per vezzo di dire. Il Volturnus celer è ancora sonante come nei versi di Lucano, una maestà d'acque verdi, che s'incalzano clamorose. Eppure a un guado di esso fu dato il nome di Scafa di Formicola. Quando vi passammo si rise del nomicino strano; sebbene si mettesse il piede sul ponte di barche che il Dittatore fe' gettare dal colonnello Bordone in quel luogo; e sentirsi oscillar sotto, crescere, scemare quelle tavole mal connesse, desse sgomento.
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