— E Griziotti: — Ma i nostri giovani si consumano di febbri in questo assedio: ogni giorno si assottigliano, muoiono. — E Garibaldi a lui: — Ci siamo venuti anche a morire. — Arriveranno i Piemontesi, Generale; essi non avranno riguardi; con poche bombe faranno arrendersi la città, poi diranno che tutto quello che facemmo sino ad ora, senza di loro non avrebbe contato nulla. — Garibaldi allora: — Lasciate che dicano; non siamo mica venuti per la gloria!...
Napoli, 3 novembre.
Il giorno dei Santi, poi quello dei Morti, poi quello delle medaglie a noi, terza festa nella malinconia della stagione.
Là in faccia alla reggia, dove tutto dice che i Borboni non torneranno più, la piazza di San Francesco di Paola era parata di bandiere. In mezzo, un seggio, delle dame, dei generali, dei grandi intorno al Dittatore che ancora aveva il cappello di Marsala. Vidi il Carini, ora generale, balioso, ringiovanito, col braccio al collo, pareva felice. La legione ungherese faceva scorta d'onore, e vi erano i Granatieri schierati che facevano scorta anch'essi. Noi davamo le spalle alla Reggia, aspettando. A un certo Punto il Dittatore si alzò, e venne verso noi dicendo con la sua voce limpida ed alta: — Soldati della indipendenza italiana, Veterani benché giovani dell'esercito liberatore, vi consegno le medaglie che il Municipio di Palermo, decretò per voi. Comincieremo dai morti, i nostri morti...
E allora un ufficiale cominciò a chiamare a nome i morti che rispondevano in noi, con l'improvviso ritorno della loro visione.
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