LE
RIVE DELLA BORMIDA
NEL 1794
RACCONTODI
GIUSEPPE CESARE ABBAMILANO
TIPOGRAFIA E. CIVELLI e C.
Via Silvio Pellico, N. 8
1875
A MIA MADRE MORTA
LE RIVE DELLA BORMIDA NEL 1794
CAPITOLO PRIMOChi si parte dalla marina del Finale, e su pel fianco dell'Appennino va verso le Langhe, si arresta trafelando ogni tratto a ripigliar lena, e a vedere quanta sarà ancora la salita, e quanto s'è scostato da quella spiaggia, diversa giù giù per foci di torrenti, per iscogliere tagliate a filo, per promontori neri, dirupati, somiglianti a mostri, che si inoltrano cimentosi nei flutti. Ma guadagnata che abbia la vetta del Settepani, sente l'affanno della via ripida e lunga, quetarsi in una vista maravigliosa. La catena dell'Alpi è di lassù un'occhiata infinita; e se vi si arriva all'apparire del sole, tutta la distesa di picchi, di coni, di aguglie, gli pare un mondo di cose vive e moventi. Si vorrebbe aver l'ali per lanciarsi su qualcuno di quei culmini, così alti nel cielo; e si abbassa di malavoglia lo sguardo, a cercare la via, giù per i gioghi avvolti ancora nell'ombra, lì sotto: dove per un lungo digradarsi di monti, si confondono villaggi, selve, burroni spaventosi; qua Montenotte, là Cosseria, castella e torri feudali per tutto; più lontana e più bella d'ogni altra quella di Vengore, che nera e solitaria si spicca su un altipiano, oltre il quale la nebulosa pianura.
Giù per le selve fumano le carboniere da mille siti. Le donne, colle ceste del mangiare in capo, s'affrettano verso quelle, pei dirotti sentieri; e ti guardano fantasticando sull'esser tuo: gli uomini, a mo' di brusco saluto, ti dicono «animo,» o «allegri!
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