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      Povera donna! A quel che già sapeva da lui, e a quel che le era stato detto da Marta, circa al fatto del pievano; pensò che della fede in cui l'aveva allevato, egli nè serbasse punta o poca. Provò al cuore una stretta dolorosa, e stesa la destra lo segnò leggermente dalla fronte al petto, come usava fargli da bambino, appena adagiatolo nella culla prima di coprirlo. Così facendo non osava neanche fiatare dalla tema che destandosi se ne avesse a male; poi in punta di piedi uscì di quella camera, e discese nella sua, dove stette un'altra mezz'ora a pregare per sè e per lui.
      Marta vegliava a terreno, menando i ferruzzi a fare la calza, e stava tutta orecchi. Ma per tutta la notte non udì nulla mai, salvo che la gatta, la quale aggomitolata sul seggiolone della signora, faceva le sue perpetue fusa. La vecchia bestia si destava di quando in quando, e porgeva orecchio anch'essa, non se udisse birri a venire, ma allo sgrigliolio dei ferruzzi di Marta, scambiandolo forse pel rosicchiare d'un sorcio. Vedendo la fantesca, chinava la testa, e subito si rimetteva a ronfare.
      Come si fu messo un po' d'albore, e s'udì Rocco parlare colle due bestie arnesando; Marta aperse la finestra della cucina e s'affacciò. O l'aria del mattino le spianasse le rughe, o la lunga veglia avesse potuto nulla sopra di lei, essa era come si fosse levata allora allora da letto. Chiamò la signora Maddalena, e poco dopo Giuliano discendeva anch'egli vestito e stivalato, pronto a partire. Egli si trattenne con sua madre, a parlar con grande passione; disse, ascoltò, promise tutto quel ch'essa volle; bevve una tazza di latte, mangiò un pane; poi baciata la mano a lei, e strettala a Marta, uscì sul piazzale e fu in sella d'un balzo.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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