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      E salutando una seconda volta il nome dell'Imperatore, porse la carta all'uffiziale, che togliendola colla sinistra, e udendosi dire: «vada», fece il suo scambietto, quasi barcollando, poi diè di volta sui tacchi tutto d'un pezzo, lasciandone il segno profondo e polveroso sull'ammattonato.
      Sebbene le parole del generale, gli fossero parute troppo acerbe, egli discese le scale speditamente, come uomo lieto; corse difilato al suo quartiere, e dalla voglia spasimata di leggere quelle carte, ogni passo gli si faceva un miglio. Appena potè alzare i sigilli e aprire i fogli, brillò tutto nel volto e nella persona. Era proprio la licenza, che i suoi, gente d'alto stato, gli avevano ottenuta dall'Imperatore. Essi n'erano in collera; ma come lo sapevano uomo di forti propositi, s'erano acconciati a quel fatto maldicendo la maliarda italiana, e pregando per lettera il generale a vedere almeno che la sposa fosse zitella dabbene.
      Come ebbe letto, l'uffiziale si fregò le mani, si rassettò addosso i panni, diè una scossa del capo; e via di buona gamba a casa il signor Fedele.
      Costui pareva fosse all'uscio ad aspettarlo; perchè egli non aveva per anco stesa la mano al cordoncino del campanello, e già l'imposta s'apriva, lasciando vedere la persona dell'arzillo leguleio; il quale presolo per mano, lo trasse dentro con paterna dimestichezza.
      Messisi a sedere, là proprio dove, giorni innanzi, la signora Maddalena e il signor Fedele avevano avuto il colloquio che noi sappiamo; l'uffiziale fu primo a parlare della faccenda, e dopo lungo discorso, porse le carte allo suocero, che gli pareva un Dio.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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