Di là a qualche ora tutto nel borgo era quiete; e la sera s'incominciò in chiesa un triduo, per invocare la vittoria dell'armi alemanne. Si pregava di cuore, ma gli animi aspettavano paurosi le novelle del campo. Marocco era stato colto da uno struggimento ch'egli solo sapeva quanto fosse grande, vedendosi ridotto a quella compagnia d'avventori paesani, che l'avrebbero tenuto sobrio(1). Il signor Fedele si fregava le mani, parendogli che la partenza dell'alemanno, gli fosse tant'oro, avendo mestieri di tempo per adoperare con Bianca il braccio della ragione. Tuttavia pensava che il barone avrebbe potuto morire; e allora si grattava la nuca plebeamente, stiracchiandosi la coda e meditando chi sa.....; cosa che io non sono vago di cercare in quel suo cervellaccio.
CAPITOLO VI.
Tornato alla villa, il signor Fedele cominciò dall'assalire Bianca coi ragionamenti, e trovandola sempre uguale, la condannò a starsi tutto il giorno in una stanza appartata. Guai alla zia e alla sorella, se avessero tentato parlarle. Per maggior umiliazione la faceva venire a mensa all'ora dei pasti; ma la poneva a sedere in un angolo del desco senza tovaglia, e le stoviglie in cui le dava a mangiare, non erano quelle lucenti di stagno che usava per sè e per la famiglia, bensì certo piatto di terra scura, da mangiarvi dentro l'elemosina, tolto a prestito dalla cascinaia. E anche in quel tempo le avea vietato di aprir bocca. Sui volti delle altre due, si fecero in breve profondi i segni dell'animo afflitto; ma temendo di procacciare a Bianca maggiori mali, tacevano; ed essa per certo raggio degli occhi nuovo e soave, mostrava di crescere in forza a sopportare quei trattamenti, e si consolava pensando che per amor di Giuliano avrebbe patito anche più, se più fosse bisognato.
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