Così entrava il maggio, senza che la festevolezza della stagione, valesse a ricondurre in quella casa la pace e la gioia. Damigella Maria e Margherita, libere di starsi o di uscire a diporto, non movevano guari, per non godere quel che a Bianca era vietato; avrebbero volentieri mutata sorte colle donne più tapine che fossero nella valle: e udendo i campagnuoli cantare strambotti pei colli, in quelle notti piene di misteriose melodie; i loro pensieri s'incontravano mestamente con quelli dell'infelice.
«Oh! - diceva la cieca - han bello dire, ma le contadine sono più felici di noi! Vengono su pascendo le pecore e sarchiando il campo, durano stenti grandi, è vero; ma almeno quel po' di pane che Dio manda lo mangiano in pace, senza tante ambizioni....! Noi.... noi.... invece....»
Margherita assorta nei canti che s'udivano lontani, chiedeva che volessero significare a quell'ore insolite, e pareva passionarsene: la zia sospirando rispondeva: «cantano la primavera tornata; la tua bella età, che Dio protegga, sicchè tu sia più fortunata di tua sorella!
«E Bianca? - ripigliava la giovinetta - che farà di là? le piaceranno questi canti, a lei così afflitta?»
Non era da dubitarne. Bianca porgeva orecchio dalla sua finestra, e pensava ai mài, che i contadini piantavano cantando dinanzi le porte delle foresi cui volevano bene. E anch'essa cadeva in quell'idea, che nata villanella, sarebbe stata più lieta; e che pur di potersi sposare all'uomo amato, la sferza del sole non la si doveva sentire, e lavorare sul solco da un'avemaria all'altra, doveva parere un trastullo.
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