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      Si chiuse con diligenza, e udendo i briachi cantare in brigata scempiatamente, accostò gli scurini; poi essendo l'ora dell'imbrunire, si mise a letto e s'addormentò, con un cuore che gli diceva cose poco liete di sè, ma anche meno del mondo. Sognò sin verso il mattino mille mestizie; ma quando fu vicina l'ora in cui soleva destarsi, vedeva i cieli nuovi e la terra nuova, promessi nell'Apocalisse. Al rompere dell'alba gli si ruppe il sonno, e aperti gli occhi sorrise e disse: alle volte si sognano cose sì belle, che peccato non dormire per sempre.
      Si vestì alla lesta, e fattosi sul terrazzino, stette ad ascoltare se s'udissero ancora i rumori della sera innanzi. Suonava nei boschi un ultimo corno, se pur non era il muggito di qualche giovenca, discesa ad abbeverarsi al torrente. Ne fu quasi lieto; e guardò a lungo il cielo, che in quei mattini di maggio pare tutto un primo amore, anco le nuvole, se ve ne sono a veleggiarlo.
      Ma abbassando gli occhi sulla casa del signor Fedele lì in faccia, si rifece pensoso, gli parve di vedere Giuliano tendere a lui le mani da lungi supplicando, e di udirlo dire: «o maestro, e perchè mi ha fatto dire da mia madre che si sarebbe adoperato per me col signor Fedele? Io non mi sarei mai allontanato dai luoghi dove mi si toglie la donna mia; maestro, se la sposeranno ad un altro, udirà parlare della mia morte. Perchè m'ha tradito?»
      «Sicuro! - sclamò Don Marco - se un guaio avvenisse, io ne sarei in parte cagione... Questa volta anderò ad ogni costo!


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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