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      «Alzati, va e piangi! le disse il padre Anacleto; - piangi che il Signore lo vuole; ed io pregherò che ti perdoni d'aver amato un empio; e pregalo tu pure per lui come faresti per un'anima del purgatorio. Domani tornerò.»
      E con passo spedito s'allontanò e disparve.
      «Dio della misericordia! - sclamò la fanciulla - pigliatemi, pigliatemi che al mondo non ci faccio più nulla! O Giuliano, e che ci venivate a fare in chiesa, se avete giurato morte a Dio e ai sacerdoti...? L'avessi saputo, e mi sarei nascosta fin nei sepolcri, piuttosto che guardarvi...! Eppure..., egli mi pareva più buono di quel bell'angelo dipinto sopra l'altare, col fanciullo per mano che fugge al pesce mostruoso.... Somigliare a quell'angelo, e sprezzar Dio...!» - Qui sentendosi lambire la mano dall'agnellino, gli prese la testa, e parlando all'animale innocente; - mi uccidono, mi uccidono - diceva - come faranno a te, e nessuno dirà, povera Bianca
      Non potè piangere, ma lentamente si rimise a vagare su e giù; mentre il signor Fedele che aveva visto ogni cosa dal buco d'una impannata, la guardava e gioiva.
      Il padre Anacleto tornò l'indimani, e il giorno appresso, e l'altro e l'altro; coll'accorgimento d'un medico di villaggio, che sappia farsi vedere in tempo acconcio dall'ammalato. Gli bastava una parola, un'occhiata a sapere l'animo di Bianca; ed era lieto di sè, perchè gli pareva d'averla, in meno che non credeva, tirata alla riva, donde rivolta addietro, avrebbe poi veduto l'acque pericolose, in cui senza lui sarebbe affogata.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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