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      Ma un'altra mano incontrò le sue sul capo della infelice; ed egli guardando chi osasse toglierli quello sfogo di padre, vide don Marco in atto così dolce, che gli fece cadere quel primo furore. E «orsù confessati - disse risoluto alla figlia - confessati qui a don Marco, che qualche gran peccato ce l'hai di certo. Suvvia... a chi dico? Comando io, o chi comanda?» e così dicendo, e ridestandosi in lui l'ira, torceva alla fanciulla le braccia.
      «No Rocco - entrava a dire don Marco - questo non è fare da cristiano; date mano a Tecla, essa è vostra figlia, e si confesserà a voi, meglio che a me, meglio che a chichessia.»
      E fatto raccattare il fagotto ad uno di quei villani, ai quali la sua parola tornava sì nuova e sì dolce; parlando di pietà, d'amore, di perdono, don Marco s'avviò con essi per tornare al borgo.
      Vi giunsero che il ponte riboccava di gente, e chi una e chi un'altra, tutti in quella faccenda dicevano la loro. Don Apollinare anch'esso, disceso di castello, dopo aver ben chiarito, che non era affare di Francesi; alle congetture che ardiva fare, aggiungeva la sua, e tenendosi in mezzo ad un capannello di maggiorenti, diceva.
      «Tutte baie! Quella ragazza va a male da due o tre mesi in qua; ed io ne sono certo, e dico che ha pigliato il maleficio. Chi in una mela chi in un garofano, ne ho viste molte che l'avevano preso; e tutte finirono col fuggire improvvisamente di casa, come, salvo l'anima, i cani che vanno in rabbia....
      «Dice bene il signor pievano; salva l'anima, come i cani!


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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