..! Tecla, Tecla... vuol bene al signorino!»
Fu come se nella sala non vi fosse rimasto più anima viva, dal tanto silenzio che vi si fece a quelle parole. La signora si abbandonò sul suo seggiolone, raccolse la fronte tra le mani, e non fiatò. Marta ritta, immobile, sbigottita, stava come se avesse, senza volerlo, ucciso qualcuno. E sentendosi rimordere forte d'avere dato quel tuffo alla padrona, afferrò il primo pensiero che le balenò alla mente; e senza stimare quanto valesse, fece come colui che lava la piaga colla prima acqua che gli viene alla mano, non badando se sia immonda da farla inciprignire. Chinandosi a lei, quasi a parlarle nell'orecchio sommessa, disse con ingenuità maravigliosa.
«Ebbene? Che guaio c'è? E dacchè quell'altra di C... si marita...: se il bene che Tecla gli vuole, servisse di sfogo a Giuliano.»
A queste parole, la signora Maddalena sollevò la fronte sdegnosa; ma d'uno sdegno sì alto, sì generoso, che alla vecchia parve di non avere visto mai nulla di più potente, a farle chinare gli occhi mortificati.
«E questo, - sclamò - questo, o Marta, è il più tristo pensiero che abbiate concepito dacchè siete al mondo; voi, che come io, avete un piè nella fossa!» E preso un partito, lasciando la fantesca a ingollare le parole che aveva detto, s'avviò sola, al buio, in casa di Rocco.
Là s'era rifugiata Tecla, sin dal primo apparire di Giuliano; senza che la padrona, o Marta avessero badato a lei. E chiusa in quella cameruccia, dove non aveva più posto piede da quella sera, in cui era salita a pigliarsi i panni, per andare a Torino alla ventura: pensava a Giuliano come ad una visione; pensava a Marta, che forse gli avrebbe detto, come essa fosse vissuta quei due mesi alla mensa della signora Maddalena; le veniva in mente quella fanciulla di C.... di cui aveva inteso parlare da don Marco; provava uno sgomento profondo della venuta del signorino, e insieme corruccio contro l'ingrata che non lo voleva più sposare.
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