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      Il colono obbedì, strologando su questi fatti alla sua maniera.
      Marta, si rifece in casa a reggere l'animo della signora, la quale da quel partito della fantesca, pareva aver pigliato un poco di sicurtà. E quando Giuliano, dato un lunghissimo giro, tornò; la trovò quieta, intenta a mettere in tavola le tovaglie di bucato, il vasellame della festa, le boccie, che a vederle appannate al di fuori, si sentiva la freschezza dell'acqua cavata allora. Su per giù era l'ora del desinare.
      «Qui non si fa che sedersi a mensa!» diss'egli, che, tornategli le forze, se non di voglia, si sentiva disposto a mangiare per bisogno. E parlando delle biche, dell'aia, e dell'uve che aveva viste copiosissime sui vigneti; faceva cuore a sua madre, che non si lasciasse cogliere dalla malinconia e mangiasse.
      Ma a un certo segno, il suo viso parve rannuvolarsi. Appoggiato un gomito sulla mensa, e reggendosi colla mano la guancia, rimase fisso a guardare la tovaglia dinanzi a sè, e moveva le labbra come chi parla con qualche sua immaginazione. La povera madre non osava dirgli nulla; ma alfine, vedendo come quel pensare durasse di troppo; lo toccò lievemente nel braccio, chiamandolo a nome, come persona che volesse destare.
      «Ah! - sclamò egli riscosso - perdoni, mamma; pensava che il mondo è tutto una commedia; e mi pareva d'essere a C..., ad una mensa lautissima, e che il mio bicchiere urtasse in quello d'un'altra persona.
      «Ma falla finita con coteste tue fantasie! O che alla fine non v'hanno più fanciulle al mondo?


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Giuliano