Quei due ritratti erano fattura d'un pittore del borgo, che gli aveva dipinti dal vivo l'anno 1702; e si vedeva dalla scritta che i due sovrani avevano dormito dai Marchesi Scarampi proprio in quel palazzo. Un figlio del pittore, divenuto musico riputato molto, sedeva quella sera sul palco a dirigere i suonatori: e rammentando d'avere udito dal proprio padre le meraviglie dei due monarchi; guardava, suonando, i loro ritratti, come se aspettasse di vederli sorridere, cavar di sotto le corazze una pizzicata di monete d'oro, e chiedere a lui notizie del babbo che gli aveva dipinti, pover'uomo morto da lunga pezza.
Chi fosse stato a quella ed a qualunque festa da ballo di quei tempi; e volesse farne paragone con quelle dei nostri, direbbe che gli avi si accontentavano di cose, alle quali noi piglieremmo gusto, proprio come a dormire su d'un monte a bocca aperta quando tira vento. Eppure ballavano i nostri vecchi meglio di noi: ballavano gagliardamente, per mantenere agile la persona e l'animo lieto; e passi di terza e di sesta erano segni di buona gamba. Pių era stimato chi sapeva meglio trinciar cavriolette, fare riprese, roteare a battuta: si ballassero monferrine, furlane, gagliarde o correnti, bisognava aver petto sano per non trafelare; e smettere prima dell'ultima nota dei suonatori, sarebbe stato farsi canzonare da donne e da fanciulle. Le quali a vederle reggersi colla punta delle dita un po' di gonna, tanto che i piedi ne uscissero scoperti fin sopra la noce; e col capo chino vezzosamente, strisciarne uno innanzi e l'altro volgere di lato, modeste, agili, rapidissime a fare da un lato all'altro le sale, dovevano essere un desėo; e quello era ballare davvero.
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Marchesi Scarampi
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