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      E quasi a mostrare che non si smetteva dalla stanchezza, ognuno badava a strepitare per sette; dond'avveniva uno scambiarsi di danzatori e di danzatrici, un passar come razzi da un capo all'altro, un turbine, un tramestio, da far tremare le volte, e da schiantar i pavimenti.
      Giuliano non ebbe tempo d'accorgersi di quella bufera, che agguantato coi quattro amici, fu trascinato nel ballo, spinto, rapito da catena a catena; finchè, quasi lo si avesse voluto schernire, gli fu posta nella sua la mano di Bianca.
      Era la prima volta che quelle due mani si toccavano ma ohimè! in qual guisa, e quanto diversa da quella vagheggiata dal giovane sventurato! E Bianca come fosse invasa dal genio d'una baccante, non si avvedeva di lui, se a sentirlo restio, non gli avesse dato uno sguardo. Parve alla bella donna, di sentirsi una fiamma accesa tra ciglio e ciglio; e un sorriso arido, amaro, spuntò sulle labra di Giuliano. Il quale non mosse piede; si tenne ritto e severo: e come l'ultime note dei clarini scompigliarono quella ridda finale; fuggì frettoloso, scese a precipizio le scale; e passando vicino a Rocco che subito levandosi gli tenne dietro, uscì in sul piazzale.
      «Signorino - gli disse Rocco vedendolo uscir di là dentro come ne lo avessero scacciato - se le hanno fatto qualche torto, sono qua io...
      «O Rocco!» - rispose Giuliano, stringendosi al collo del contadino; e forse avrebbe detto qualcosa, ma un bisbiglio, un rumore di passi veniva giù dalle scale del palazzo; tutta quella gente lieta del festino, a coppie, a brigate, si versava nel piazzale; e là auguri, e risa, e promesse; cortesie infinite che accompagnarono gli sposi sino alla casa del signor Fedele.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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