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Certo la convinzione di Mazzini l'aveva in parte, almeno nel cuore, anche il Cavour. Egli dopo Villafranca, in uno scatto di magnanima ira, aveva detto: "Mi hanno troncato la via a fare l'Italia con la diplomazia dal Nord; ebbene, la farò dal Sud con la rivoluzione!" Ma poi si era frenato. E se Mazzini vedeva le cose da credente che subordinava tutto alla propria fede, e andava incontro ai fatti, fosse pure per trovare il martirio, Cavour col suo tatto del possibile guardava da uomo di Stato che misura le probabilità e vi conforma l'azione. Il regno delle Due Sicilie gli pareva un organismo da lasciar vivere ancora; le idee sue rispetto a quello non si erano peranche mutate.
L'anno avanti, nel maggio, appena salito al trono Francesco II, egli lo aveva invitato a unirsi al Piemonte contro l'Austria. Ma Francesco aveva preferito la neutralità, sperando che Russia, Prussia, Inghilterra si sarebbero messe dalla parte dell'Austria, e che la guerra del '59 sarebbe finita come quella del '48. Cavour il 25 giugno, cioè dopo la battaglia di Solferino e San Martino, sempre sperando di convincere quel Re a divenir italiano, gli aveva mandato il conte Ruggero Gabaleone di Salmour come inviato straordinario, con l'istruzione di dirgli che il concetto dell'indipendenza italiana aveva informato sempre il Governo piemontese; che perciò da anni, consigliando con l'esempio e con la voce agli altri principi d'Italia quelle interne riforme che dessero soddisfazione ai legittimi desiderii dei popoli, aveva mirato soprattutto a consociarli nello stesso intento di nazionalità, unico mezzo per disarmare le fazioni.
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