Ribotti gli pareva uomo da ciò. Era stato al servizio della rivoluzione siciliana del '48; per essa aveva tentato di portar l'armi in Calabria, era stato preso e condannato, e aveva sofferto anni di carcere dai Borboni. Ma Ribotti non aveva accettato. Forse indovinava che laggiù, solo il gran nome di Garibaldi e l'ingegno suo di guerra e la sua figura, avrebbero potuto trovar la vittoria.
*
In quei giorni venne come la folgore una lieta notizia: a Palermo era scoppiata l'insurrezione. E si diceva che all'alba del 4 aprile, da un convento chiamato della Gancia, un Francesco Riso, giovane di 28 anni, aveva con alcuni compagni data la mossa, e che un Salvatore La Placa s'era azzuffato con la milizia, in certi quartieri della città abitati da pescatori e retaioli. Ma la gioia si cambiò in ira quando, subito appresso, oggi una voce, domani l'altra, si seppe che quei generosi erano stati oppressi; che le squadre di campagna, già scese vicino a Palermo, s'erano ritirate nei monti; che tredici compagni di Riso, oltre quelli morti combattendo, erano stati fucilati; che egli giaceva pieno di ferite e prigioniero; che lo stato d'assedio era proclamato, e che erano arrestati il padre di Riso con altri cittadini cospicui di Palermo. Dunque la rivoluzione era domata! No, non doveva essere: l'Italia superiore la faceva sua propria.
Da quel momento tutti cominciarono a chiedere che facesse Garibaldi, e se non si muovesse, e se non era ancora andato, e perché non fosse ancora laggiù. E non dicevano già, che dovesse muoversi il governo di Vittorio Emanuele; tutti avevano il sentimento del rischio cui si sarebbe messo d'aver mezza Europa addosso: a tutti bastava che si muovesse lui, Garibaldi, che quanto a gente per seguirlo ce ne sarebbe stata anche troppa.
| |
Calabria Borboni Ribotti Garibaldi Palermo Gancia Francesco Riso Salvatore La Placa Palermo Riso Riso Palermo Italia Garibaldi Vittorio Emanuele Europa Garibaldi
|