Ma insomma un po' di giorni, tre o quattro, sarebbero bastati. Intanto quegli operosi avrebbero raccolta la gente da fuori. Dacché egli aveva detto: "Partiamo," lasciasse fare, che ad eseguire c'era chi ci pensava.
Il Conte di Cavour, ignorando quella nuova deliberazione, era partito il 1 maggio per Bologna, a raggiungervi nel giro trionfale il Re, cui sperava di strappare l'ultima parola che impedisse a Garibaldi ogni tentativo d'allora e di poi. Narrano gli intimi del Conte e del Re che si trovavano con essi in Bologna, avere il Cavour manifestato fin l'intenzione di fare arrestar Garibaldi, se si fosse ostinato a tentar qualche cosa, e d'andar egli stesso a porgli addosso le mani, se non si trovasse chi avesse l'ardimento di farlo. E sarà vero, perché allora egli temeva troppo che l'Imperatore dei Francesi, credendosi canzonato da lui, pigliasse qualche violenta deliberazione contro l'Italia. Ma ormai alla forza delle cose neppur egli poteva più resistere. E saputo ciò che a Genova si faceva, stette col Re a Bologna, per non tornare a Torino in quei giorni a farsi tormentare dalla diplomazia. Però prese le sue precauzioni. E temendo sempre che Garibaldi volesse fare un colpo contro Roma, ordinò alla divisione navale del contrammiraglio Persano d'andare in crociera tra Capo Carbonara e Capo dello Sperone a Sant'Antioco, o, in altre parole, dinanzi al Golfo di Cagliari. Gli ingiungeva però di non "adoperar le macchine"; e che cosa intendesse di voler dire con ciò non si sa bene ora, né lo seppe allora forse neppure il Persano.
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