Furiere della compagnia era il marchese Aurelio Bellisomi da Milano, allora sui ventiquattro, bellissimo giovane e colto assai, mazziniano per fare l'unità nell'ora che passava, ma forse già vagheggiatore dell'idea del Cattaneo, come di cosa da venir sicura col tempo, conseguenza della stessa unità allora necessaria per conseguire l'indipendenza. Ma non parlava guari delle sue idee federaliste per non seminare discordie.
In quanto ai sergenti, quando s'è detto che si chiamavano Enrico Cairoli, Luigi Mazzucchelli, Pompeo Rizzi, Camillo Ruta, par d'aver detto tutto anche a chi non portò mai camicia rossa. Erano giovani tra i venti e i ventisett'anni, e son già morti da un pezzo; ma di essi soltanto Enrico finì come erano degni di trovarsi a finire tutti, in quel bel giorno di Villa Glori, sotto le mura di Roma, uno contro venti.
Il caporal furiere era Luigi Fabio, il buon Fabio morto poi quasi sessantenne, ma di cuor sempre giovane. E i quattro caporali erano lo studente Ferdinando Cadei, che cadde a Calatafimi, Giuseppe Campagnuoli, Alessandro Casali, Luigi Novaria; quello di Caleppio, questi tre di Pavia. Tra quei compagni di ventitré anni il Novaria ne aveva trentatré, pareva un vecchio, ma stonava poco perché versava larga la sua vena di ilarità, sebbene talvolta fosse canzonatore mordace, e talvolta pigliasse il tono fin di Tersite.
Così la compagnia era fortemente inquadrata. Contava centotrenta militi, ventitré dei quali erano proprio pavesi. E tra quei centotrenta, ventiquattro erano studenti di legge, dodici di medicina, quattordici di matematica, due di farmacia.
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