Il Dall'Ovo che aveva anch'egli trentanove anni, era una figura su per giù sul fare del Tasca, forse un po' meno aspro ma anch'egli burbero e buono. Non sapeva che da quell'umile posto di sottotenente della compagnia, le sorti della guerra e dell'esercito nazionale lo avrebbero elevato su tanto, da fare di lui un colonnello. E da colonnello doveva invecchiar nell'esercito per uscirne alfine e sparire come tanti, che si rincantucciarono a rivivere del loro passato, dei quali non si seppe più se fossero vivi o morti.
Ma Daniele Piccinini che più di lui e più del Tasca personificava in sé il bergamasco cittadino insieme e valligiano e di monte, come rimase vivo e presente a tutto il mondo garibaldino! Nato a Pradalunga in Val Seriana, da una famiglia radicata tra le rocce e ricca e forte ivi come una volta quelle dei feudatari, ma però tutta di virtù patriarcali; candido a trent'anni come un adolescente, valoroso come un personaggio dei 'Reali di Francia', allora ancora molto letti nelle campagne; in quel maggio era disceso dal suo paesello a vedere se non si tornasse a far qualche cosa per l'Italia, e aveva dato il suo nome di tono guerriero antico alla compagnia bergamasca. Fu lui quello che a Calatafimi, in un momento che Garibaldi si trovò tanto vicino ai nemici da farsi colpire fino da un colpo di pietra, gli si lanciò quasi irato davanti, e coprendolo col suo pastrano da pioggia onde la camicia rossa non lo facesse più far da bersaglio, osava gridargli che non a lui stava bene andare a farsi uccidere come un soldato qualunque.
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