Per tal suo fatto gli pesava addosso l'accusa di sterminatore di preti e frati, e sin d'averne colmato un pozzo.
A chi non sapeva tutto, pareva che quella compagnia fosse l'avanguardia, e che la spedizione dovesse tenerle dietro. E i più giovani lo credevano, ma gli anziani no. Delle otto compagnie, Garibaldi ne aveva affidate tre a comandanti siciliani, una ad un calabrese; ora come poteva darsi che egli volesse far loro il torto di non andare in Sicilia? Però il fatto che quel piccolo drappello se n'era andato per entrare nel Pontificio a farvisi distruggere forse ai primi passi, se tutta la spedizione non lo volesse seguire, non si capiva. Vi era chi diceva che Garibaldi avesse fatto così, per levarsi dai piedi quel Zambianchi che gli era odioso: ma altri faceva osservare che forse si esagerava perché non a un uomo così fatto Garibaldi avrebbe dato da condurre quel manipolo, in cui si erano trovati a dover andare dei giovani come il Guerzoni, il Leardi, il Locatelli, il Ferrari, il Fumagalli, il Pittaluga, e avvocati, scrittori, scultori, e quattro medici come Fochi, Bandini e Soncini da Parma, e Cantoni da Pavia, e tanti altri, proprio gente già di conto. Pensavano forse meglio quelli che dicevano che il Generale aveva mandato quel manipolo nel Pontificio affinché n'andasse la voce a Roma e a Napoli, a generar confusione in quei governi; e che quanto al Zambianchi qualcuno, forse il Guerzoni, avesse l'ordine di levargli il comando, se mai venisse l'occasione di doversene liberare per qualche suo sproposito o qualche violenza.
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