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      Eppure nessuno se ne lagnò. Insieme con quell'arma, ognuno ricevette venti cartucce, e se le mise a posto con gran cura. Quelle povere cose erano tutte le risorse di cui Garibaldi poteva disporre. Povero Garibaldi! Nell'ultimo momento che stette in quelle acque, un suo compagno d'altri tempi che lo aveva seguito nei mari della Cina e che poi aveva perduto una gamba combattendo pei liberali del Perù, bel soldato, vivacissimo ingegno, voleva seguirlo così mutilato com'era anche a quella sua bella guerra. Egli dovette supplicarlo di andarsene, e infine comandarglielo. Furono lagrime! Ma Stefano Siccoli dovè ubbidire, discendere, veder da terra salpare l'ancora, stringersi il cuore perché non gli scoppiasse. Però aveva già il suo proposito bell'e formato: egli avrebbe raggiunto Zambianchi.
      Di nuovo in mareEra quasi il tocco dopo mezzodì, quando il Piemonte e il Lombardo si mossero verso l'isola del Giglio. Finalmente!
      Garibaldi era stato tutti quei due giorni in angustia. Certo egli ignorava ciò che si seppe poi, e cioè che il Ricasoli, governatore della Toscana, aveva telegrafato al prefetto di Grosseto di "tenersi estraneo a quanto succedeva" nel golfo di Talamone. Ma lo avesse anche saputo, temeva del Farini, temeva del Cavour, né avrebbe potuto giustamente lagnarsi di loro, se gli avessero fatto giungere addosso la squadra di Persano a pigliarselo. Il momento era ben più cruccioso che quello di Genova. Nei tre giorni della sua partenza, tutta l'Europa avea avuto tempo di mettere il Governo di Torino alla stretta o di catturare lui o di prepararsi alla guerra.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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