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      E allora che rovina! Le genti del mezzodì deluse e cadute nell'accasciamento; egli e il suo partito umiliati; Vittorio Emanuele costretto a rinnegare il pensiero unitario! Ci sarebbero voluti molti anni a rimetter su gli animi; e intanto, prima che tornasse un'occasione, sarebbero divenuti vecchi, sarebbero forse morti il Re, Cavour, Mazzini, lui, tutta quella generazione; e non si sapeva che cosa sarebbe poi avvenuto.
      Ora dunque egli e tutti sulle due navi respiravano contenti. Girata la punta dell'Argentaro, ecco a destra l'isola del Giglio con la sua costa erta e rocciosa e col suo borgo su in cima. Una freschezza, una pace! Quanti di quei naviganti già vecchi e stanchi avranno pensato di venirvi un dì a trovarsi un posticino lassù, per invecchiarvi del tutto e morirvi, pensando alla loro odissea! Ma ora l'odissea non era finita, anzi andavano a crearne forse l'ultimo canto.
      Più in là del Giglio, Montecristo, l'isola dei sogni; e lungo la costa occidentale dell'Argentaro a guardare in su torri, torri e torri. Che strano arnese da guerra doveva essere stato quel monte! E poi a sinistra Giannutri, luogo da capre selvatiche e da conigli.
      Di là da quelle isolette i due vapori pigliarono il largo; dunque alle coste romane non c'era proprio più da pensarci, e presto sarebbero entrati nelle acque napolitane.
      Veniva ai Mille la sera e la malinconia. Cosa si pensava di loro nelle loro città, nei loro villaggi, nelle loro case? Davvero tutta l'Italia doveva stare in grande ansietà. Ormai la spedizione era via da quattro giorni; ogni istante poteva esser quello di una grande tragedia, in qualche punto del Tirreno.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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