Poca gente per quelle vie; degli usci si chiudevano; dalle soglie d'altri usci e dalle finestre donne e uomini guardavano paurosi; e ve n'erano che applaudivano, i più parevano gente trasognata.
Garibaldi, sbarcato degli ultimi, saliva anch'egli ma lento alla città, portando la sciabola sulla spalla come un contadino la zappa. E ogni poco si volgeva a guardar il porto. Gusmaroli e altri pochi che lo seguivano, avrebbero voluto portarlo via di peso dal pericolo d'essere ucciso o soltanto ferito in quel primo istante. Senza di lui non si sapeva cosa sarebbe stato di quel gruppo d'uomini, fossero pur molti i grandi e i forti tra loro. Egli da solo era un esercito. Ma nessuno osava dirgli che si guardasse, nessuno, neppur Bixio, venuto via addirittura l'ultimo da bordo. Egli aveva voluto prima far portare a terra tutto ciò che gli era parso buono a qualcosa, poi non avendo più nulla da farvi, aperti egli stesso i rubinetti delle macchine affinché il Lombardo s'empisse d'acqua, era disceso.
Intanto le navi borboniche continuavano a tirare. E fu saputo subito che le due fregate a vapore si chiamavano Stromboli e Capri, e che quella a vela, tanto maestosa, era la Partenope. Ah! La Stromboli! V'erano tra gli sbarcati quei tali sette che vi avevano navigato su nel 1859 fino a Cadice, con gli altri deportati che dovevano andare a finire in America. Ora la riconoscevano ai profili. Non erano più quei tempi, sebbene fossero ancora tanto vicini: né era più l'11 luglio del 1849, quando, comandata da un Salazar, la Stromboli aveva inseguito i trabaccoli siciliani che, fallito loro lo sbarco in Calabria, andavano a rifugiarsi nelle Ionie.
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