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      Se la colonna del generale Letizia, che il giorno avanti aveva fatto la sua comparsa minacciosa, e se n'era andata credendo di lasciarsi dietro tutto tranquillo, fosse anche rinvenuta; avrebbero avuto da far con Garibaldi, con quei suoi ufficiali facili a riconoscersi per uomini di guerra sul serio, con quella gente un po' d'ogni etą ma pratica d'armi e disciplinata, con loro infine e con al loro cittą che si sarebbe difesa.
      Anche il popolino pigliava via via confidenza con quei forestieri. Nelle taverne, nelle botteghe dove essi entravano per rifocillarsi e provvedersi di qualche cosuccia necessaria, la gente faceva subito folla. E si tratteneva a sentirli parlare. Come erano buoni e cortesi! Le donne osservavano che molti portavano i capelli lunghi, cosa strana per soldati, e che avevano gli occhi azzurri e le mani e i panni indosso da veri signori. I bottegai ricevevano le monete con su l'effigie di Vittorio Emanuele, mirando e facendo mirare i gran baffi del Re di cui avevano sentito parlar vagamente, domandavano se Garibaldi fosse suo fratello. Davano i resti in mucchi di monete luride e fruste, e facevano tutto gli uni e gli altri con gran fidanza. Quelle non erano ore da inganni.
      Correvano intanto dei racconti curiosi di particolari minuti dello sbarco, un fatterello seguito qua o lą, a questo o a quell'altro di questa, di quella Compagnia. Faceto, nel serio, ma vero, si diceva che appena sceso a terra, un Pentasuglia, pratico del mestiere, era entrato nell'ufficio del telegrafo, dove l'impiegato aveva appena finito di annunziare a Palermo e a Trapani che gente armata sbarcava da due legni sardi.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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