Finalmente quando gią si faceva sera, apparve lontano un corpo di casa massiccio e scuro, su di un rilievo un po' pił spiccato di quella campagna. Era il maniero di Rampagallo, quello che si chiamava bellamente feudo, come se lą il feudalesimo fosse ancora una cosa viva. E tutto, dai muri massicci, alle finestre, alla gran porta, ai cortili dentro, ai contadini che vi si aggiravano, tutto vi aveva infatti una fisionomia d'antichitą corrucciata.
Le Compagnie si accamparono davanti a quel vasto casamento su di un pendio erboso, che dopo l'arsura della lunga giornata pareva dar un carezzevole senso di refrigerio. A pié dei loro fasci d'arme, mangiarono il loro pane, e in silenzio si addormentarono.
Ma i pochi che per servizio dell'accampamento vegliavano, videro di prima notte entrar nel gran cortile di Rampagallo una piccola schiera d'uomini, forse sessanta, condotti da tre o quattro cavalieri, alti su degli stalloni piuttosto che sellati, bardati, con attraverso sulle cosce dei lungi fucili. Gli uomini a piedi erano armati di doppietta, con alla vita la ventriera per le cartucce e qualche pugnale. Vestivano panni strani, parecchi avevano sopravesti e cosciali di pelli caprine, e portavano in capo dei berretti quasi frigi o dei cappellacci a cencio. I loro capi, fratelli Sant'Anna e barone Mocarta, passarono da Garibaldi. Egli fece liete accoglienze a quel primo manipolo che la Sicilia armata gli dava; la scena era quasi da medio evo: pareva proprio che in quelle ore in quel luogo quei signori fossero giunti per prestare l'omaggio a un conquistatore.
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