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      E il merito di questo miracolo fu tutto del Generale. L'anima sua era entrata, era presente in tutte quelle anime, fosse egli in qual si volesse punto del campo. Due momenti della pugna furono esclusivamente suoi: uno, quello di quando Bixio, che era Bixio, osò domandargli alla maniera sua se non gli paresse il caso di battere in ritirata, ed egli rispose che là si faceva l'Italia o si moriva: l'altro, quello dell'ultimo assalto, quando tutti rifiniti boccheggiavano sotto il ciglio del colle, su cui si erano ridotte via via risalendo le schiere nemiche scacciate da terrazzo a terrazzo in su. Là disperavano tutti, non egli, che parlando pacato andava per le file come un padre con gli occhi rilucenti di lagrime: "Riposate, figliuoli, poi un ultimo sforzo e abbiamo vinto." Fu in quel momento che lo colpì nella spalla destra uno dei sassi che i borbonici facevano rotolar giù; ma egli non degnò mostrare d'essersene accorto, e continuò a mantenere quell'aria sicura che creava la sicurezza altrui, in quel quarto d'ora in cui, se i borbonici avessero osato rovesciarsi giù alla baionetta, in più di duemila quanti erano ancora, la rotta era sua. Essi invece, raccolti lassù, urlavano: 'Viva lo Re'; rotolavano sassi, e tiravano schioppettate a chi si faceva su dal ciglio a guardare. Uno di questi fu Edoardo Herter da Treviso, medico di 26 anni. Pareva una damigella bionda vestita da uomo, tanto aveva esile l'aspetto, ma i suoi muscoli erano d'acciaio. Parlò con Garibaldi un istante, poi si lanciò su per un greppo.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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