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      Forse lo aveva ucciso lui.
      Al Passo di Renda
      Sul vespro di quel giorno la colonna garibaldina entrò nell'ombra di un anfiteatro di monti, dove si immerse quasi a celarsi. In quell'ora, tutto là intorno pareva minaccioso, dalle falde ronchiose ai profili di quei monti dentati in alto e taglienti. Il po' di piano traversato dalla strada consolare dava un senso di freddo. E il luogo, al dire dei Siciliani, era infame per istorie truci di masnadieri. Passo di Renda voleva dire pericolo di non uscirne vivo chi vi si avventurasse da solo.
      Le Compagnie, rifinite dalla stanchezza e dalla fame, si gettarono in terra ciascuna, per dir così, dove fu fermata; e per un po' fu silenzio profondo. Ma poi qua e là furono accesi dei fuochi con gli arbusti raccolti per quelle ripe, e intorno ai fuochi quei militi si misero come al solito a sgranocchiare il loro pane. Da otto giorni non si cibavano quasi d'altro che di pane e cacio come il Generale, semplice uomo che faceva divenir semplici tutti e senza voglie, senza bisogni.
      Quella sera si mise a dormire in un cantuccio di quell'accampamento, tra corte rocce ferrigne, dove i più novelli tra i suoi andavano timidamente a passargli vicino per guardarlo. Ma era veramente Garibaldi quell'uomo coricato su quella povera coperta, sotto quel mantello, con la sella del suo cavallo per origliere? Ed era Dittatore, e voleva levar via dal trono il Re delle Due Sicilie, egli così povero e che riposava così tranquillo, senza guardie né nulla? Pareva un sogno. Contemplatolo un poco, quei giovinetti se ne tornavano alle Compagnie, a dire che egli dormiva e che perciò tutto doveva andar bene.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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