Tutti si fermavano là incantati. Vedevano giù in basso quel paradiso; e in fondo Palermo che pareva infinita; e nel tremolare della marina un fitto di antenne, navi da guerra certo le più, navi di tutta Europa e forse d'America, corse là per vedervi la gran scena che vi doveva avvenire. Di quella scena essi dovevano essere poi attori! Ma quando, come, con quali sorti? Sapevano che laggiù tra quelle mura stavano ventimila soldati, ma insomma v'erano pure dugentomila cittadini. E alcuni, quasi col sentimento dei diecimila di Senofonte quando scopersero il mare, gridavano: Palermo, Palermo!
Di là, il vecchio Ignazio Calona mostrava gli sbocchi dei monti da dove erano discesi i Napolitani di Florestano Pepe e di Filangeri, nel 1820 e nel 1849. A quelle due rivoluzioni egli aveva partecipato di venticinque anni e di cinquantatré, e si poteva immaginare con qual animo se tanto glie ne avanzava adesso, che ne aveva sessantacinque. E diceva con foco giovanile che nel maggio del 1849, quando Palermo si preparava all'ultimo sforzo per respingere Filangeri già vincitore del resto dell'isola, laggiù nella pianura che si vedeva tra la città e il Monte Grifone, ogni giorno accorreva gente d'ogni ceto a scavar fossati, ad alzar ripari, e che tutti lavoravano insieme signori e plebe, anche le dame e le più nobili fanciulle. A quei discorsi i giovani si esaltavano.
Così per tutta la mattinata fu una grande vivezza nell'accampamento, dove quei militi si facevano giocondamente ognuno da sé le più umili cose; si lavavano le camicie a una gran cisterna, si rattoppavano le scarpe, si ricucivano gli strappi dei panni così mal ridotti, che coloro che avevano indosso i più signorili parevano ormai i peggio vestiti.
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