Ma alle belle persone, al portamento elegante, quella miseria dava quasi maggior risalto. Altri davano una ripulita ai fucili o si ingegnavano di raccomodarne i guasti. I cannonieri stavano intorno ai loro pezzi. Appoggiato alla gran colubrina, Antonio Pievani da Sondrio leggeva il Vangelo, e lo spiegava ad alcuni che aveva intorno. Tutti ascoltavano raccolti e pensosi, e facevano venire in mente i Puritani di Cromwell. Passava qualche scettico, stava un istante, poi se n'andava compreso di rispetto per quel soldato credente.
Ma in un canto dell'accampamento v'era qualcuno che, per dir così, teneva il posto che nei poemi cavallereschi hanno le Orche e i mostri. Sdraiato in terra, legato mani e piedi, vestito alla siciliana con certa eleganza, custodito da alcuni 'Picciotti' delle squadre del barone Sant'Anna, stava un uomo grande e forte, di viso cattivo. Guardava sprezzante e taceva. I garibaldini che andavano a vederlo, sentivano dire che egli era un tal Santo Mele, il quale sin dallo scoppio della rivoluzione aveva principiato a correre la campagna con alcuni ribaldi, rubando le casse pubbliche e assassinando gente. Aveva fino incendiato il villaggio di Calamina. E tutto aveva fatto in nome di certa sua giustizia che gli pareva d'aver diritto d'esercitare; anzi, se ne gloriava. I Siciliani che dall'esiglio erano tornati nell'isola con Garibaldi, dicevano che colui doveva essere 'Maffioso'; e spiegavano ai compagni la natura d'una tenebrosa società, che aveva le sue fila per tutta l'isola, in alto, in basso, nelle città, nelle campagne, dappertutto.
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