Con quell'esempio la colonna sfilava, un uomo dietro l'altro oramai, ché per due non c'era più luogo. E cominciò una pioggerella che presto divenne fitta tra quelle tenebre, dando alla gente il senso di camminare nelle nubi. Ah le belle vie di Milano, di Venezia, di Genova, tutte inondate di luce, a quell'ora! I pani, inzuppandosi, cascavano giù dalle baionette, cascava qualche uomo a ogni passo; tuttavia si rideva ancora, ma, per dir così, d'un malinconico riso interiore. Metteva un po' di sgomento il non veder più nulla, salvo dei gran fuochi indietro nel campo di Renda abbandonato, e un altro gran fuoco solitario avanti, lontano, verso il quale si accorgevano di marciare; mentre dal fondo, sulla sinistra, salivano a intervalli i gridi d'allerta delle sentinelle napolitane. Dalla testa della colonna veniva il nitrito d'un cavallo, insistente, selvaggio. A un tratto s'udirono due colpi di fuoco. Fu un fremito per tutta quella sfilata: forse l'avanguardia s'era imbattuta nel nemico. Ma poi non si udì più nulla. E sempre tirando avanti, passò la voce che quei colpi erano stati scaricati da Bixio nella testa del suo cavallo, per farlo smetter di nitrire; atto proprio da Bixio che aveva voluto far quella marcia del diavolo in sella. Era vero. Andando avanti, i soldati passavano vicino a un cavallo spianato là morto fuori de' piedi.
Quando fu quasi l'alba, le Compagnie si trovarono a calare dalle ultime falde di quei monti su d'una grossa borgata. Pioveva ancora. Credevano d'aver camminato lontano, e invece la Conca d'oro era ancora lì davanti ad essi come quando stavano a Renda, solo che adesso la vedevano da oriente.
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