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      O bella Morea,
      Da che ti lasciai non ti vidi più!
      Quivi trovasi mio padre,
      Quivi la madre mia,
      Quivi i miei fratelli sepolti ho lasciati.
      O bella Morea,
      Da che ti lasciai non ti vidi più.
      Quella data, quell'ascesa, quel canto ricordavano loro i dolori degli avi tre secoli e mezzo indietro, che per non soggiacere ai Turchi s'erano rassegnati a lasciar l'Albania, e col fior degli Epiroti condotti da Giorgio Scanderberg avevano trovato rifugio in Sicilia, portando seco loro le immagini e quanto possedevano di più caro. Fiera e costumata gente, orgogliosa della sua origine, che ne' suoi canti serba vivo il sentimento di quattro secoli, e sogna ancora che uno del suo sangue possa, quando che sia, ricondurla nella vecchia patria lontana.
      Si può dire che i Garibaldini videro appena gli abitanti della città, perché, accampati fuori, stettero stanchi, inquieti e pensosi d'altro. Sapevano che da un'ora all'altra il nemico che li seguiva sarebbe apparso. I Carabinieri genovesi che, sostenuto il primo assalto al Parco, s'erano ripiegati sulla colonna, raccontavano che i borbonici erano almeno cinque mila, mercenari bavaresi la più parte, con artiglieria e cavalleria. E lamentavano di aver perduto nello scontro Carlo Mosto e Francesco Rivalta, ai quali forse quei feroci non avevano dato quartiere. Tutti dunque erano pensosi. Che cosa meditasse il Generale lo ignoravano; se quella fosse una manovra o una vera ritirata, nessuno poteva dirlo. Garibaldi ne scrisse poi, riconoscendo egli stesso che quel giorno poteva essergli funesto, se avesse avuto da fare con un nemico più diligente.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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