E di ciò si maravigliavano appunto i lombardi, tra i quali Telesforo Cattoni del Mantovano, angelico giovane a ventun'anni già dottore in legge e studioso di lettere, cui l'ingegno lampeggiava negli occhi. Ma Domenico Maura calabrese, dottissimo uomo sulla cinquantina, che sempre tra quei giovani parlava di Dante, diceva che se la fortuna avesse secondato Garibaldi, essi avrebbero poi trovato da maravigliarsi anche in Calabria, sentendo in certi villaggi parlar piemontese dai discendenti dei Valdesi scampati dalle persecuzioni. Quelli che lì in Sicilia avevano del lombardo e del monferrino, erano discendenti d'avventurieri e di favoriti tirati nell'isola dal gran Conte Ruggero, quando vi condusse sposa Adelaide di Monferrato. Dietro quella gentildonna uscita dal paese più cavalleresco d'Italia, erano corsi a frotte nell'isola gentiluomini d'ogni grado, e Ruggero aveva dato loro da abitare certi luoghi, che per il numero grande di quegli ospiti furono poi chiamati villaggi lombardi. E coloro vi si erano misti e fusi coi nativi, greci, arabi e normanni, pur conservando le loro consuetudini e i loro dialetti. Aidone, Piazza, Nicosia, altre cittadette erano di quei luoghi.
Nel pomeriggio di quel giorno, apparvero lassù alcuni uomini di mare in calzoni bianchi, e si disse subito che erano ufficiali delle navi inglesi ancorate nel porto di Palermo, saliti per vaghezza a visitare quell'accampamento. Sapevano essi che v'avrebbero trovato Garibaldi? E se lo sapevano, poteva ignorarlo il Comandante generale borbonico di Palermo?
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