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      E in tutta quella giornata non avevano ricevuto che ognuno un pane e una fetta di carne cruda, che avevano mangiato chi rosolandosela al fuoco sulla punta della baionetta, chi scaldandosela sulle rocce arse dal sole, chi tale e quale. Non erano mesti né lieti, si incamminavano forse alla morte. Ma se avessero avuto fortuna, se fosse loro riuscito di penetrar nella gran Palermo, e farvi levar su tutto il popolo come un mare, e pigliarsela, che grido di gloria per tutta l'Italia, che gioia poi poter dire: io v'era! A ogni modo, meglio quel cimento supremo, meglio che star dell'altro in quelle incertezze, per finire alla meno peggio e tornare se forse e chi sa come, nell'Alta Italia mortificati.
      Intanto che veniva la notte, furono fatte dai Comandanti raccomandazioni amichevoli. Marciare in silenzio; non badare a rumore che potesse venire da qualsifosse parte; non si lasciassero impaurire dalla cavalleria, se mai, come era da prevedersi, ne fosse capitata sui fianchi della colonna. Contro di essa bastava formare i gruppi, giovandosi degli accidenti del terreno, e tirare ai cavalli. Del resto, la fortuna di Garibaldi avrebbe sempre aiutato, e all'alba sarebbero stati in Palermo. Con certa esaltazione qualcuno ripeteva che Bixio aveva già detto: "A Palermo o all'inferno."
      La calata a Palermo
      Appena fu buio, la colonna si mise in marcia e cominciò subito la discesa. Allora, di là, fu veduto il vastissimo semicerchio di monti, che serra la Conca d'oro, coronarsi di fuochi, come se dappertutto vi fossero dei piccoli accampamenti.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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