Di quelli che andavano e tornavano, taluni si sentivano chiamar dentro dagli usci di qualche casa o palazzo socchiusi. E lą nei cortili, sotto i porticati, gił nei sotterranei, trovavano donne, uomini, fanciulli, signori e servi; e questi a gara se li pigliavano in mezzo curiosi, e li tempestavano di domande: e di dove erano, e come si chiamavano, e se avevano madri, sorelle. E stringendo loro le mani, tastavano se queste erano fini; maravigliavano a udirli parlare da gentili uomini. Li ristoravano di cibi e di vini squisiti; empivano loro le tasche di biancherie; mostravano le coccarde tricolori, triangolari come l'isola; li baciavano, li pregavano di farsi portar da loro se mai cadessero feriti. E le donne esaltate congiungevano le mani come in chiesa; e le fanciulle sorridevano estatiche nei grandi occhi lucenti; e poi a veder coloro andarsene, piangevano come sorelle amorose.
Nei posti in faccia al nemico, quelli che vegliavano, ricevevano le notizie delle cose avvenute altrove. Ai Benedettini, Giuseppe Gnecco, carabiniere genovese, si era lanciato alla gola di un ufficiale borbonico e lo aveva tratto via seco prigioniero. Lą e lą, i tali della tale Compagnia o della tal'altra, avevano formato barricate mobili con botti rinvolte in materasse, e spingendole avanti a forza di spalle sotto il fuoco dei borbonici, erano giunti fino alle case occupate da questi, e balzati dentro, fulminei avevano preso le case e i difensori.
Metteva una certa sicurezza negli animi sapere che ormai tutta la parte bassa della cittą era in mano degli insorti, salvo il palazzo delle Finanze in piazza Marina, che era ben tenuto d'occhio perché i borbonici non potessero portar via il tesoro.
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Benedettini Giuseppe Gnecco Compagnia Finanze Marina
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