Andassero pure onorati! Erano italiani anch'essi, e nel trattarli così, egli poteva dire di riportare un'altra vittoria.
E il giorno 8 giugno fu uno strano spettacolo. Al cospetto di molto popolo in festa, dinanzi a forse quattrocento Cacciatori delle Alpi raccolti per quella cerimonia, sfilarono i ventimila soldati dell'esercito regio, soldati di tutte le armi. Dove andavano, dove si sarebbero ancora incontrati a combattere con quei loro vincitori che, così pochi, avevano dietro di loro l'Italia Nuova? Non sapevano, ma pareva sentissero che il mondo abbandonava il loro sovrano. Tuttavia, se passavano senza fierezza, non avevano aria avvilita. I soldati avevano combattuto.
Allora Palermo festeggiò sé stessa magnificamente, e quelli che chiamava i suoi liberatori. Essi, in venticinque giorni dalla partenza da Genova, avevano vissuto quanto si può vivere in parecchi anni, e veduto e sentito quanto in un lungo viaggio, per terre di civiltà antiche e venerande. E avevano anche potuto meditare sugli effetti delle rivoluzioni compiutesi, durante l'ultimo secolo, nell'alta Italia, dove se le miserie della vita erano ancora molte, certa somma di beni s'era pur cumulata nelle città e nelle campagne, e di questi beni tutti ne avevano risentito. Ma là nell'Isola, rimasta nel silenzio e nella solitudine, senza essere stata toccata dalla rivoluzione francese, quasi tutto era ancora come doveva essere stato parecchi secoli indietro. Grandezze da principi in una classe ristretta; povertà, ignoranza e superstizione nella grossa moltitudine; e, salvo le grandi città, assenza quasi assoluta di quel ceto di mezzo colto, ricco, operoso, che nell'alta Italia teneva già sin da allora in pugno le sorti sociali.
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