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      Però l'anima siciliana si rivelava pronta a liberarsi da quanto di troppo vecchio la impediva, e capace di rimettere in breve il gran tempo perduto. Ma queste eran cose da lasciarsi al poi. Per allora bastava che l'Italia spingesse avanti l'opera iniziata dai Siciliani e dai Mille. Questi si sarebbero modestamente confusi nell'onda grossa di volontari che essa avrebbe mandati, come infatti mandò.
      Ma nei giorni che corsero tra lo sgombro dei regi e l'arrivo di quella che fu chiamata la seconda spedizione condotta dal Medici, le gioie che Palermo fece loro godere furono cose da novelle orientali. Banchetti e festini, uno che aspettava la fine dell'altro per cominciare. I Mille, smessi i panni borghesi, vi comparivano nelle loro fiammanti camicie rosse, mirabili le Guide nelle pittoresche divise tra ungheresi e francesi; mirabili i Carabinieri genovesi in un costume severo e quanto mai signorile.
      Ogni tanto, però, si faceva qualche gran funerale di morti per ferite, perché grandiosa e solenne doveva essere in Palermo anche l'ospitalità della tomba. Così certi umili volontari che, morti nelle loro case, sarebbero stati accompagnati al cimitero da pochi umili come loro, ebbero esequie da grandi. Quelle di Adolfo Azzi morto il 4 giugno, quelle del colonnello Tukory morto il dì 8, furono apoteosi. Intanto alla gioia veniva a mescersi certa mestizia. Era di quella che le grandi cose lasciano nel cuore, quando sono compiute. Gli animi alacri e lieti della vigilia cambiano godimento nella tristezza di poi.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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