Timidamente ella monta sulla finestra, pone una mano sulla spalla di Roderigo ed è sul punto di slanciarsi, quando — Ahimè! ahimè! povera Zara!— si scorda della sua lunga coda che rimane presa nella finestra: la torre traballa, perde l’equilibrio e con un terribile colpo sotterra gli infelici amanti sotto le rovine.
Un grido unanime si fece udire quando si videro gli scarponi che si muovevano furiosamente nell’aria ed una testina dorata che si alzava dalle rovine gridando: — Te l’ho detto io! Te l’ho detto io!
Ma con grandissima presenza di spirito Don Pedro, il crudele Sire, esce dal palazzo, riesce a liberare sua figlia dalle rovine e, dicendo a bassa voce a Roderigo:
— Non ridere; fa’ come se là tragedia fosse veramente così! — con indignazione e furore lo scaccia dal suo regno. Benché un po’ confuso dalla caduta della torre, Roderigo rifiuta di muoversi. Questo esempio anima Zara: anch’ella si oppone a suo padre, che, fuori di sé dalla collera e dal dispetto, ordina che i due siano condotti nelle più oscure prigioni del castello. Un soldatino con delle lunghe catene in mano entra e li conduce via dimenticando evidentemente, nella confusione, il discorso che doveva fare.
L’atto terzo si rappresenta nella sala del Castello. Comparisce Agar, che è venuta qui per vendicarsi di Ugo e per liberare Zara e Roderigo, ma vedendo arrivare Ugo, si nasconde e sta spiando: osserva che egli mette le due pozioni in due bicchieri di vino e che ordina al timido soldato di portarli giù dai prigionieri e di dir loro che fra poco anch’egli sarebbe andato a trovarli.
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