Ella passava le lunghe ore, non nell’ozio e nella solitudine, perché era di natura molto attiva e popolava inoltre il suo piccolo mondo di amici immaginari che creava da sé. Tutte le mattine le sue sei bambole, tutti vecchi scarti delle sorelle fra cui non ve ne era una che valesse la pena d’essere guardata, dovevano ricevere le sue cure premurose ed appunto perché erano brutte e sciupate ed erano state disprezzate da Amy che non voleva mai nulla di brutto né di vecchio, erano teneramente amate da Beth la quale aveva anche fondato un ospedale per quelle malate. Un misero frammento di bambola era un tempo appartenuto a Jo: e, dopo aver passato una vita assai tempestosa, era stato gettato nel sacco dei cenci vecchi, pronto ad essere portato alla sepoltura, quando Beth era venuta alla riscossa e l’aveva accolto nel suo luogo di rifugio. Se qualcuno avesse veduto le cure che ella prodigava a questa povera bambola, ne sarebbe stato commosso, amene se avesse avuto voglia di ridere. Le portava dei mazzetti di fiori, le leggeva ad alta voce, la portava a spasso, le cantava delle nenie e non andava mai a letto senza prima averle baciato il povero volto annerito, dicendo: — Spero che passerai una buona notte, mia povera bambina!
Però Beth, non essendo un angelo, ma una bambina come le altre, aveva anche lei i suoi pesi, e molto spesso «spargeva due lacrimette», come diceva Jo, perché non poteva prendere lezione di musica ed avere un bel pianoforte. Amava tanto la musica, studiava con tanto ardore e suonava per ore intere e così diligentemente su quel vecchio piano, che sarebbe stato giusto che qualcuno (per non dire la zia March), l’aiutasse.
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Amy Beth Beth Beth March
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