Si divertiva perciò immensamente e trovava, cosa che raramente accade, che il suo sogno si realizzava. Forse perché essa era così riconoscente per questa piccola gioia, una molto più grande l’attendeva già da lungo tempo.
— Mamma, voglio ricamare un paio di pantofole per il signor Laurence. È tanto buono e gentile con me che bisogna che lo ricambi in qualche modo. Me lo permetti? — domandò Beth qualche settimana dopo la famosa visita.
— Sì cara, gli farà piacere ed è il miglior modo di ringraziarlo. Le ragazze ti aiuteranno! ed io ti pagherò la montatura — rispose la signora March, che si affrettava a contentare i desideri di Beth, perché eran sempre così rari.
Dopo serie discussioni con Meg e Jo, il disegno e le sete furono scelte e le pantofole preparate. Un mazzo di viole del pensiero sopra un fondo più scuro furono dichiarate perfette e Beth lavorò alacremente per alcuni giorni, aiutata nelle parti più difficili dalle sorelle. Era svelta ed abile al lavoro e finì le pantofole prima che alcuno si stancasse di vederle. Quando furono pronte, scrisse un semplice bigliettino e, con l’aiuto di Laurie, riuscì a metterle nello studio del nonno una mattina prima che egli si alzasse.
Quando l’eccitamento fu passato, Beth attese pazientemente per vedere ciò che sarebbe accaduto. Scorse quel giorno, passò la metà del successivo ed ella cominciava a temere di avere offeso il suo strano amico, quando, ritornando da una commissione che aveva servito nello stesso tempo di passeggiata per Joanna, la bambola malata, vide tre, anzi quattro teste, che si affacciavano alle finestre; ed al momento in cui essa fu scorta otto mani alziate in aria e quattro voci gridarono con accento di gioia: — Ecco una lettera del signor Laurence.
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