— Ora ella starà in piedi in mezzo, alla stanza fino all’ora di ricreazione — disse il signor Davis, risoluto, dal momento che aveva cominciato, di andare sino in fondo.
Questo poi era il colmo: sarebbe stato già ben doloroso di ritornare al posto e vedere le facce compassionevoli delle amiche e quelle soddisfatte delle nemiche; ma stare lì davanti a tutta la classe in modo che tutte potessero vederla dopo quella terribile umiliazione, le pareva talmente superiore alle sue forze, che per un momento credette di dover cedere e sfogare il suo dolore nel pianto. Ma un sentimento di amara ingiustizia patita ed il pensiero di Giannina Snow l’aiutarono a trattenersi e, mettendosi nel posto d’ignominia, essa fissò cogli occhi la gola del camino al disopra di quello che ora le pareva un mare di teste, e rimase là immobile e pallida tanto che le ragazze trovarono assai difficile di studiare con quella figurina triste e commovente dinanzi ai loro occhi.
Durante i quindici minuti successivi l’orgogliosa fanciulla soffrì una vergogna ed un dolore che non dimenticò mai. Per un’altra sarebbe stata una cosa ridicola e triviale, ma per lei fu terribilmente duro, perché nei suoi dodici anni di vita era stata guidata soltanto coll’affetto ed una cosa simile non le era mai successa. Il dolore della mano e il dolore morale però diventavano secondari quando pensava:
— Dovrò raccontarlo a casa e chi sa come saranno dispiacenti!
Quei quindici minuti le parvero un’ora; ma venne finalmente il termine e la parola «ricreazione» non le giunse mai così grata all’orecchio, come in quel giorno.
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Davis Giannina Snow
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