CAPITOLO NONO
Meg va alla «fiera della vanità».
— È stata una cosa veramente fortunata che quei ragazzi abbiano avuto la rosolia per l’appunto in questo tempo, — disse Meg — un bel giorno di aprile, mentre che, coll’aiuto delle sorelle, stava facendo il baule.
— È proprio gentile Anna Moffat di essersi ricordata della sua promessa. Quindici giorni di divertimento dovrebbero bastarti per vent’anni — replicò Jo, che, piegando le camicie colle sue lunghe braccia, assomigliava alle ali di un mulino a vento.
— E il tempo è bello, sono così contenta, — aggiunse Beth, che sceglieva dalla sua scatola i più bei nastri per prestarli a Meg.
— Quanto pagherei di venire anch’io e divertirmi ed avere tutte queste belle cose — disse Amy, colla bocca piena di spilli, che artisticamente accomodava sul cuscinetto.
— Sarei molto contenta se veniste tutte, ma siccome ciò non è possibile, terrò ai mente tutte le avventure per potervele poi raccontare. Siete state così buone, mi avete prestato tante cose e mi avete aiutato in tanti modi, che è il meno che io possa fare, — disse Meg guardando con ammirazione il suo semplicissimo corredo, che ai loro occhi pareva quasi perfetto.
— Che cosa ti ha dato la mamma dalla sua scatola di tesori? domandò Amy, che non era stata presente all’apertura di una certa scatola di cedro, dove la signora March teneva ancora alcuni resti del passato splendore, per regalarli a suo tempo alle ragazze.
— Un paio di calze di seta, un bel ventaglino ed una magnifica fusciacca celeste.
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