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      Ned, Francesco e le bambine si unirono a loro per far questo giuoco ed i tre maggiori sedettero un po’ lontano chiacchierando tra di loro. La signorina Caterina riprese a disegnare il suo schizzo, Meg la stava guardando, mentre il signor Brooke, sdraiato sull’erba, teneva in mano un libro che non leggeva.
      — Come disegna bene! Quanto pagherei poter disegnare anch’io!— disse Meg con grande ammirazione mista ad un po’ di dispiacere.
      — Perché non impara? Credo che avrebbe talento — disse la signorina Caterina graziosamente.
      — Non ho tempo.
      — Suppongo che sua madre preferirà che studi qualche altra cosa, non è vero? Anche la mia faceva lo stesso, ma, io, per provarle che avevo talento, presi qualche lezione di nascosto ed ella acconsentì poi a farmi continuare. Non può far lo stesso lei colla sua governante?
      — Non ho una governante.
      — Ah è vero! Mi dimenticavo che in America c’è, molto più che da noi, l’uso di mandare le signorine a scuola. Le scuole sono anche molto belle mi dice papà. Lei va ad una scuola privata, suppongo?
      — No, non vado a scuola. Sono una governante io stessa.
      — Ah, davvero! — disse la signorina Caterina, ma un «Dio mio che roba!» avrebbe avuto lo stesso effetto, perché il tono in cui fu detto quel «davvero» fece arrossire Meg e le fece desiderare di non essere stata tanto franca.
      Il signor Brooke alzò il capo e disse subito: — Le signorine in America vogliono essere indipendenti, come lo erano i loro antenati e sono ammirate e rispettate più delle altre, quando vivono col frutto del loro lavoro.


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Piccole donne
di Louisa May Alcott
pagine 280

   





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