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      Ciò la irritò un poco; le ritornarono in mente le stupide lezioni di civetteria che le aveva dato Annie Moffat ed il desiderio di mostrare il suo potere si risvegliò ad un tratto e s’impossessò di lei. Eccitata ed un poco infastidita, non sapendo che altro fare, ella seguì l’impulso capriccioso del momento e ritirando le mani disse con petulanza:
      — Non voglio imparare; vada via e non mi tormenti!
      Il povero signor Brooke restò là in asso coll’espressione di chi vede crollare ad un tratto tutto il suo bel castello in aria. Egli non aveva mai visto Meg a quel modo e ne fu meravigliato.
      — Pensa proprio così? — domandò ansiosamente, mentre ella si muoveva per andarsene.
      — Sì proprio, lo penso: non voglio esser tormentata ancora con queste cose; papà dice che è troppo presto ed io sono perfettamente d’accordo con lui.
      — E non crede che col tempo io possa convincerla a cambiare? Aspetterò pazientemente e non dirò nulla finché non avrà avuto tempo di pensarci bene. Non scherzi con me, Meg. Non me lo sarei aspettato da lei.
      — Non s’aspetti nulla da me. Preferisco che non ci pensi! — disse Meg divertendosi a mettere a dura prova la pazienza del suo innamorato. Egli divenne pallido e serio: somigliava a quegli eroi da romanzo che Meg ammirava tanto: ma non si batté la fronte né si strappò i capelli: si contentò dl guardare Meg con occhi così pieni di amore e di disperazione che ella si sentì commossa. Che cosa sarebbe accaduto, non saprei dirlo, se in quel momento la zia March non fosse entrata zoppicando nella stanza.


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Piccole donne
di Louisa May Alcott
pagine 280

   





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