Le corti nostre a me pajono una viva immagine di questo culto antico, benché per tutt'altro fine instituite. Il tempio è la reggia; il tiranno n'è l'idolo; i cortigiani ne sono i sacerdoti; la libertà nostra, e quindi gli onesti costumi, il retto pensare, la virtù, l'onor vero, e noi stessi; son queste le vittime che tutto dì vi s'immolano.
Disse il dotto Montesquieu, che base e molla della monarchia ella era l'onore. Non conoscendo io, e non credendo a codesta ideale monarchia, dico, e spero di provare; Che base e molla della tirannide ella è la sola paura.
E da prima, io distinguo la paura in due specie, chiaramente fra loro diverse, sì nella cagione che negli effetti; la paura dell'oppresso, e la paura dell'oppressore.
Teme l'oppresso, perché oltre quello ch'ei soffre tuttavia, egli benissimo sa non vi essere altro limite ai suoi patimenti che l'assoluta volontà e l'arbitrario capriccio dell'oppressore. Da un così incalzante e smisurato timore ne dovrebbe pur nascere (se l'uom ragionasse) una disperata risoluzione di non voler più soffrire: e questa, appena verrebbe a procrearsi concordemente in tutti o nei più, immediatamente ad ogni lor patimento perpetuo fine porrebbe. Eppure, al contrario, nell'uomo schiavo ed oppresso, dal continuo ed eccessivo temere nasce vie più sempre maggiore ed estrema la circospezione, la cieca obbedienza, il rispetto e la sommissione al tiranno; e crescono a segno, che non si possono aver maggiori mai per un Dio.
Ma, teme altresì l'oppressore.
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Montesquieu Dio
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