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      Dico dunque; che i nobili nelle repubbliche, ove essi vi siano prima ch'elle nascano, o tosto o tardi le distruggeranno, e faran serve; ancorché non vi siano da prima più potenti che il popolo. Ma, in una repubblica, in cui nobili non vi siano, il popolo libero non dee mai creare nel proprio seno un sì fatale stromento di servitù, né mai staccare dalla causa comune nessuno individuo, né (molto meno) staccarne a perpetuità, nessuna intera classe di cittadini. Pure, per altra parte moltissimo giovando alla emulazione, e non poco alla miglior discussione dei pubblici affari, l'aver nella repubblica un ceto minore in numero, e maggiore in virtù al ceto di tutti, potrebbe un popolo libero a ciò provvedere col crearsi questo ceto egli stesso, e crearlo a vita od a tempo, ma non ereditario giammai; affinché possano costoro operare nella repubblica quel tal bene che vi oprerebbe forse la nobiltà, senza poterne operare mai niuno dei mali, che ella tutto giorno pur vi opera.
      Natura dell'uomo si è, che quanto egli più ha, tanto desidera più, e tanto maggiormente in grado si trova di assumersi più. Al ceto dei nobili ereditarj, avendo essi la primazìa e le ricchezze, altro non manca se non la maggiore autorità, e quindi ad altro non pensano che ad usurparla. Per via della forza nol possono, perché in numero si trovano pur sempre di tanto minori del popolo. Per arte dunque, per corruzione, e per fraude, tentano di usurparla. Ma, o fra loro tutti si accordano, e, per invidia l'uno dell'altro, rimanendo la usurpata autorità nelle mani di loro tutti, ecco allora creata la tirannide aristocratica: ovvero tra quei nobili se ne trova uno più accorto, più valente, e più reo degli altri, che parte ne inganna, parte ne perseguita o distrugge, e fingendo di assumere le parti e la difesa del popolo, si fa assoluto signore di tutti; ed ecco, come sorge la tirannide d'un solo.


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Della tirannide
di Vittorio Alfieri
1800 pagine 120