Quindi è, che i filosofi pensatori fra i popoli liberi nessuna differenza, o pochissima, han posto infra la vita d'un bruto, e quella d'un uomo, che non sia per aver mai libertà, volontà, sicurezza, costumi, ed onore verace. E tali pur troppo debbono riuscire quei figli, che stoltamente procreati si sono nella tirannide; a cui se il padre non toglie la vita del corpo, necessariamente toglie loro una più nobile vita, quella dell'intelletto e dell'animo: ovvero, se sventuratamente l'una e l'altra in essi del pari coltiva, altro non fa un tal misero padre, che educar vittime per la tirannide.
Conchiudo; che chi ha moglie e prole nella tirannide, tante più volte è replicatamente schiavo, e avvilito, quanti più sono gl'individui per cui egli è sforzato sempre a tremare.
CAPITOLO DECIMOQUINTO
DELL'AMOR DI SE STESSO NELLA TIRANNIDE
La tirannide è tanto contraria alla nostra natura, ch'ella sconvolge, indebolisce, od annulla nell'uomo presso che tutti gli affetti naturali. Quindi non si ama da noi la patria, perché ella non ci è; non si amano i parenti, la moglie, ed i figli, perché son cose poco nostre e poco sicure; non vi sono veri amici, perché l'aprire interamente il suo cuore nelle cose importanti, può sempre trasmutare un amico in un delatore premiato, e spesso anche (pur troppo!) in un delatore onorato. L'effetto necessario, che risulta nel cuor dell'uomo dal non potere amar queste cose su mentovate, si è, di amare smoderatamente se stesso. E parmi, che ne sia questa una delle principali ragioni: dal non essere securo, nasce nell'uomo il timore; dal continuo temere, nascono i due contrarj eccessi; o un soverchio amore, o una soverchia indifferenza per quella cosa che sta in pericolo: nella tirannide, temendo sempre noi tutti per le cose nostre e per noi, ma amando (perché così vuol natura) prima d'ogni altra cosa noi stessi, ne veniamo a poco a poco a temere sommamente per noi, e ogni dì meno per quelle cose nostre, che non fanno parte immediata di noi.
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