Ciascuno per sé li ricavi dal proprio timore, dalla propria viltà, dalle proprie circostanze più o meno servili e fatali; e in fine, dal tristo e continuo esempio dei più, ciascun li ricavi.
CAPITOLO TERZO
COME SI POSSA VIVERE NELLA TIRANNIDEIo dunque parlerò a quei pochissimi, che degni di nascere in libero governo fra uomini, si trovano dalla sempre ingiusta fortuna, direi balestrati, in mezzo ai turpissimi armenti di coloro, che nessuna delle umane facoltà esercitando, nessuno dei dritti dell'uomo conoscendo, o serbandone, si vanno pure usurpando di uomini il nome.
E, dovendo io pur dimostrare a que' pochissimi, in qual modo si possa vivere quasi uomo nella tirannide, sommamente mi duole che io dovrò dar loro dei precetti pur troppo ancora contrarj alla libera loro e magnanima natura. Oh quanto più volentieri, nato io in altri tempi e governi, m'ingegnerei di dar (non coi detti, ma coi fatti bensì) gli esempj del viver libero! Ma, poiché vano è del tutto il dolersi dei mali che sono o pajono privi di un presente rimedio, facciasi come nelle insanabili piaghe, a cui non si cerca oramai guarigione, ma solamente un qualche sollievo.
Dico per tanto; che allorché l'uomo nella tirannide, mediante il proprio ingegno, vi si trova capace di sentirne tutto il peso, ma per la mancanza di proprie ed altrui forze vi si trova ad un tempo stesso incapace di scuoterlo; dee allora un tal uomo, per primo fondamentale precetto star sempre lontano dal tiranno, da' suoi satelliti, dagli infami suoi onori, dalle inique sue cariche, dai vizj, lusinghe, e corruzioni sue, dalle mura terreno ed aria perfino, che egli respira, e che lo circondano.
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