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      Nondimeno, parlando io sempre a coloro, che non meritando oltraggio nessuno, vivissimamente quindi sentono nel più profondo cuore i più leggieri eziandio; ed essendo costoro i pochissimi (che se tali i moltissimi fossero, immediatamente ogni pubblico oltraggiator cesserebbe) a costoro dico; che si può da lor sopportare che il tiranno tolga loro gli averi, perché nessun privato avere vale quell'estremo universale scompiglio, che ne potrebbe nascere dalla loro dubbia vendetta. Così perversi sono i presenti tempi, che da una privata vendetta, ancorché felicemente eseguita, non ne potrebbe pur nascer mai nessun vero permanente bene pel pubblico, ma se gli potrebbe accrescer bensì moltissimo il danno. Onde, volendo io che i buoni, nella stessa tirannide, siano, per quanto essere il possono, cittadini; e volendo, che ai loro conservi, o giovino, o inutilmente almeno non nuocano; ai buoni non darei mai per consiglio di sturbare inutilmente la pace, o sia il sopore di tutti, per far vendetta delle loro tolte sostanze.
      Ma le offese di sangue nella persona dei più stretti parenti od amici, allorch'elle siano manifestamente ingiuste, ed atroci; e così, le offese nel proprio verace onore; io non ardirei mai consigliare a chi ha faccia d'uomo di tollerarle. Si può vivere senza le sostanze, perché nessuno muore di necessità; e perché l'uomo, per l'esser povero, non riesce perciò mai vile a se stesso, ove egli non lo sia divenuto pe' suoi vizj e reità: ma non si può sopravvivere alla perdita sforzata ed ingiusta di una teneramente amata persona; né, molto meno, alla perdita del proprio onore.


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Della tirannide
di Vittorio Alfieri
1800 pagine 120