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      Quindi, dovendo assolutamente un tal uomo morire, ed essendo estrema la ingiuria ricevuta, non può egli né dee più allora conservare rispetti; e, che che avvenire ne possa, il forte dee sempre morir vendicato: e chi nulla teme, può tutto.
      Per unica prova di quanto asserisco, addurrò la sola riflessione, che di quante tirannidi sono state distrutte, o di quanti tiranni sono stati spenti, per destare quel primo impeto universale necessarissimo a ciò, non vi fu mai altra più incalzante ragione che le ingiurie fatte dal tiranno nell'onore principalmente, quindi nel sangue, poi nell'avere. Questo insegnamento non è dunque mio; ma egli sta nella natura degli uomini tutti. Ma pure, a chi dovesse, e volesse, vendicare una simile ingiuria, consiglierei pur sempre di farsi solo all'impresa, e di omettere interamente ogni pensiero alla propria salvezza, e come non alto, e come vano, e come sempre dannoso ad ogni magnanima importante vendetta. E chi non si sente capace di questa totale omissione di se stesso, non si reputi stoltamente capace, né degno, di eseguire una sì alta vendetta; e si persuada, che meritava egli veramente l'oltraggio che ha ricevuto; e pazientemente quindi sel goda. Ma, se l'offeso si trova del pari dotato di alto animo e d'illuminato intelletto; se da quella sua privata vendetta ne ardisce egli concepire e sperare la universale permanente libertà; tanto più allora si muova egli (ma sempre pur solo) al compiere la prima e la più importante impresa; ometta egli parimente ogni pensiero della propria salvezza; tutte quelle risentite parole, che, con grave ed inutil pericolo per sé e per l'impresa, egli avrebbe mosso agli amici per indurgli a congiurare con lui, tutte le cangi in un solo importantissimo, tacito, e ben assestato colpo: e lasci poi all'effetto che ne dee necessariamente ridondare, l'incarico di estendere e di corroborar la congiura; e al solo destino ogni cura della propria salvezza abbandoni.


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Della tirannide
di Vittorio Alfieri
1800 pagine 120